martedì 24 marzo 2020

                                                                  HENRI BERGSON

                               
  

 Il dualismo: 
Bergson non ha esitazioni a dichiarare la sua adesione al dualismo contrapponendosi a quello che lui definisce come il preconcetto della filosofia che ha sempre cercato, sin dagli inizi della sua storia, di superare il naturale dualismo, conseguendo l'unità del reale.
Sin dal titolo la sua opera "Materia e memoria" (che doveva essere intitolata inizialmente " Quantità e Qualità") infatti sottintende quel dualismo che solo permette di evitare la confusione tra quelle che sono differenze di natura, per esempio in forme organiche ed inorganiche, riferendole invece, in nome dell'unità del reale, a differenze di grado all'interno di un unico piano di realtà. È questa iniziale confusione e l'incapacità di accettare che gli oggetti del pensiero sono dei "misti", degli intrecci dualistici, che ha reso irrisolvibili quei problemi che mal definiti all'inizio e mal analizzati, hanno portato a grossolani errori come ad esempio il presunto dualismo ordine-disordine che ben analizzato si rivela invece come la differenza tra due differenti forme di ordine e così la differenziazione del possibile come ciò che si allontana dal reale mentre per Bergson il possibile è qualcosa che si aggiunge alla realtà. Pertanto Bergson perviene ad una concezione dualistica, in cui gli oggetti esistono in sé come "immagini" in sé. 

la memoria:
Su questa concezione del tempo Bergson fonda la sua interpretazione della memoria nella sua opera "Materia e memoria". Già Hume si era dedicato a questo problema concependo la memoria come il persistere attenuato della percezione iniziale, un po' come una molla che continua a vibrare sulla spinta del primo impulso. Bergson però, nota come secondo la scienza medico-psicologica questo rapporto tra percezione e memoria non viene riscontrato. Quindi ci deve essere un diverso rapporto tra percezione e memoria. Egli ritiene che la percezione sia un ritagliare un'immagine parziale della realtà percepita che dura per l'istante della percezione e che poi viene superata da altre percezioni, ritagli, della realtà. La memoria è invece l'accumularsi, lo stratificarsi dei ricordi, duraturo e sempre tutt'intero presente, indipendentemente dalla coscienza che si ha, e la cui dimensione temporale non è l'istante, come per le percezioni, ma la durata reale.
Il tutto è rappresentabile come un cono rovesciato:
  • l'intersezione della punta con il piano rappresenta il presente;
  • la punta del cono è l'istante della percezione del reale;
  • la base del cono è il passato dov'è la memoria.

intelligenza e intuizione:
Bergson è stato accusato di preferire l'irrazionale per una sua sfiducia nella razionalità. Al contrario egli riconosce la funzione dell'intelligenza come strumento di conoscenza ma si rifiuta di pensare che questo debba essere l'unico strumento del sapere.
L'intelligenza è sempre diretta all'azione, al risultato: è come, dice Bergson, le forbici di un sarto che ritagliano, di un intero tessuto, quella parte che serve a confezionare l'abito. Siccome l'intelligenza è soprattutto analitica, essa poi procederà a ritagliare, ad analizzare, quella parte del reale che ha preso in considerazione.
Ancora una volta siamo di fronte ad un "misto" dualistico di intuizione-intelligenza che rimanda al dualismo fondamentale tra spirito (intuizione) e materia (l'intelligenza analitica che mira alla realtà, le forbici del sarto). È con l'intuizione che possiamo cogliere gli errori che l'intelligenza ha fatto nel definire i problemi che vuole risolvere, così come il sarto si accorgerà di non poter fare il suo vestito poiché ha mal calcolato la stoffa che gli serviva. Il tentativo di ridurre lo spirito alla materia o viceversa, rifiutando la coesistenza delle due forme di conoscenza ha impedito al pensiero occidentale di capire la parzialità della conoscenza intellettiva analitica.

domenica 15 marzo 2020

                                                                  SIGMUN FREUD




Sigismund Schlomo Freud, conosciuto come Sigmund Freud, nasce il 6 Maggio del 1856 nell'odierna Repubblica Ceca. Sigmund inizia ad appassionarsi allo studio del testo biblico sin da giovane, e la storia e la tradizione del suo popolo giocheranno un ruolo non indifferente nella sua produzione successiva (per altro, in un contesto sociale come quello viennese di antisemitismo).  Freud decide di dedicarsi alla pratica clinica, professione che gli avrebbe consentito di rendersi indipendente economicamente e di sposare Martha Bernays, conosciuta nel 1882. Lavora per tre anni all'Ospedale Generale di Vienna, curando i pazienti del reparto psichiatrico, poi, tra il 1885 e il 1886 collabora con Charcot a Parigi, e si avvicina così all'ipnosi come cura per l'isteria, metodo clinico che Freud vuol diffondere al suo ritorno a Vienna. Nell'autunno del 1886 apre dinque il suo studio privato, e in primavera sposa Martha, con cui mette al mondo sei figli.Nel frattempo Freud inizia ad applicare il metodo ipnotico sui pazienti isterici, e a pubblicare i primi studi su questo metodo catartico​ (Studi sull'isteria, 1895). Tuttavia, Freud sta già lavorando alle opere maggiori; nel 1900 pubblica uno studio, risultato del lavoro di cura sui propri pazienti e su se stesso, L'interpretazione dei sogni, che fissa i paletti della futura psicoanalisi. La nomina a professore universitario nel 1902 si affianca allo sviluppo della nuova teoria, a cavallo tra interpretazione del mondo dell'inconscio e pratica terapeutica per i disturbi psicoanalitici; alla Psicopatologia della vita quotidiana (1904) e ai Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) si affiancano gli studi di famosi "casi clinici". Del 1910 è la fondazione della Società psicoanalitica internazionale, cui aderiscono in un primo momento anche i "discepoli" Jung e Adler. Altri studi freudiani (che sviluppano ulteriormente i concetti di Io, Es, Super-io, il noto "complesso di Edipo" e la teoria della sessualità) sono Al di là del principio di piacere (1920), L'Io e l'Es (1922) e Il disagio della civiltà (1930). La salita al potere del nazismo hitleriano costringe però Freud - da anni malato di cancro - all'esilio a Londra nel 1938, dove lo psicoanalista muore l'anno successivo.



                                                           KIERKEGAARD

                                            

Il pensiero di Kierkegaard è profondamente immerso nella cultura della Danimarca del suo tempo, permeata dall’ascendente di Hegel e dell’idealismo. Le elaborazioni del filosofo si porranno, però, in netto contrasto con la cultura accademica dominante e saranno segnate da uno stile personale che abbandonava il rigore del linguaggio filosofico e la sua pretesa oggettività. Difatti, le caratteristiche della sua filosofia furono:   
L’esistenza: l’importanza assegnata all’esistenza concreta degli uomini. È il singolo, l’individuo fatto di carne e ossa, con le sue esigenze e i suoi dubbi a costituire l’oggetto della sua ricerca. Kierkegaard abbandona ogni pretesa astrazione generalizzante, ogni necessità e si concentra unicamente sulle scelte e le opportunità della persona concreta.
La possibilità: la centralità del criterio della possibilità, concepita come la cifra caratteristica dell’esistenza umana. Per Kierkegaard è “possibilità-che-sì” ma anche, al tempo stesso, “possibilità-che-non”. Con ciò il filosofo intende dire che ogni scelta, ogni opportunità che si presenta all’uomo, impone sempre che se ne scartino altre. C’è un rischio ineliminabile in ogni opportunità esistenziale che porterà lo stesso filosofo all’immobilismo.
La riflessione soggettiva e la storia: una rivalutazione della riflessione soggettiva, appassionata, in cui l’uomo viene inserito nel contesto in cui vive senza garanzie e senza sapere o sperare di poter percorrere una strada già segnata. La storia, secondo Kierkegaard, è il risultato dell’azione incerta, casuale e problematica dell’individuo.
L’aut-aut: il credere che la vita, nel suo farsi, sia sempre caratterizzata da una scelta che obbliga ad un “aut-aut”.

-GLI STADI DELLA VITA:
Nell’opera Aut-Aut Kierkegaard presenta i primi due stadi esistenziali, cioè le due alternative di vita che si presentano come scelte inconciliabili all’uomo: o l’una o l’altra, senza nessuna soluzione di continuità o tentativo di mediazione. 
LA VITA ESTETICA: Il primo stadio analizzato è quello della vita estetica: è il modo di vivere in cui l’uomo rifiuta la banalità, la monotonia, l’impegno ma ricerca solo e soltanto il piacere inebriante dell’avventura e dell’attimo intenso e fugace. Emblema di questo stadio è la figura del don Giovanni mai pago delle sue conquiste amorose. Ma, a detta del filosofo, il continuo passare da una “storiella” all’altra è per il don Giovanni la prova lampante della sua incapacità di stringere relazioni e sentirsi appagato. Scegliendo tutte le donne, il seduttore in verità non ne sceglie nessuna. Così, la vita estetica è il preludio prima della noia e poi della disperazione. Scegliendo di non scegliere, in quanto rifiuta il peso di qualsiasi impegno, l’esteta si ritrova a fare i conti con una vita vuota, priva di identità e senso. Ma, scegliendo la disperazione, l’uomo può liberarsi dalle modalità di questa vita per abbracciarne un’altra: la vita etica. 
LA VITA ETICA: questo secondo stadio si fonda sulla scelta, sull’essere protagonisti di un compito e di portarlo avanti con costanza. Emblema di questo stadio è il buon marito, l’impiegato in cui l’individuo decide di abbracciare un “modello” di comportamento e la “normalità”. All’eccezionalità dello stadio etico sopraggiunge la routine. Tuttavia, anche questo stadio è destinato a condurre l’uomo alla disperazione e all’angoscia in quanto l’individuo, seguendo “ciò che va fatto”, non riesce davvero a realizzare la propria singolarità ma si abbandona al conformismo e all’anonimato. La tranquilla e modesta vita che ha scelto, inoltre, non appagano la sua voglia di infinito. La vita etica termina allorquando l’uomo realizza di non poter superare la sua natura di essere peccaminoso. Si sente, cioè, al cospetto di Dio, un essere insufficiente, incapace di essere assolutamente buono. Dunque, si pente. E solo allora, accettando per fede che Dio possa comunque salvarci dai nostri peccati, è pronto ad entrare nell’ultimo stadio. 

LA VITA RELIGIOSA: Nell’opera Timore e tremore, infatti, Kierkegaard affronta la vita religiosa che risulta essere una scelta ancora più radicale di quella compiuta nel passaggio dalla vita estetica a quella etica. La figura chiave di questo stadio è infatti
Abramo che contro ogni legge morale, decide unicamente di seguire un comando divino. Difatti questo è il momento in cui l’uomo è solo davanti a Dio, riconosce la propria finitezza e si abbandona all’Assoluto. L’individuo sceglie dunque di credere e tenta di superare l’angoscia e la disperazione che lo costituiscono riconoscendo la propria dipendenza da Dio. Ma la fede non si configura come una scelta rassicurante in quanto l’uomo si ritrova solo, al di fuori della mentalità e dei costumi comuni, a credere in qualcosa che si pone aldilà della ragione o di ogni comprensione. Tuttavia, nonostante il cristianesimo sia “scandalo e paradosso”, è la sola arma che permette al singolo di sfuggire a quel senso di vertigine dato dalle infinite possibilità di cui è costellata la sua vita.
Dio risulta quindi essere un affidamento ed un approdo, seppur problematico e drammatico, che permette di superare la propria inadeguatezza esistenziale. Il credente è rassicurato che, cioè, tutto ciò che è possibile è nelle mani di Dio. 

  NIETZSCHE




Figlio di un pastore protestante, studia all’università di Bonn e di Lipsia, vince molto giovane la cattedra di filologia all’università di Basilea. Nel 1879 per problemi fisici, è costretto a lasciare l’insegnamento e trascorre dieci anni, circa dedicandosi a un ‘intensa attività di studio e scrittura, la sua malattia si acuirà e sfocerà in infermità mentale. Dopo il nichilismo con cui si erano dissolti i valori platonico-cristiani, Nietzsche vede per la filosofia un nuovo scopo, uno scopo costruttivo: il divenire nella circolarità di piacere e dolore, consente di amare il mondo “amor fati"
e di riscattarlo in modo immanente. Questo riscatto esige il tramonto dell’idea tradizionale di uomo “per costruire la casa all’oltreuomo”, capace di edificare autonomamente un’esistenza colma di vita e di senso. Tutto il suo pensiero è raccolto nelle sue celebri opere: La nascita della tragedia dello spirito della musica, Umano troppo umano, libro per spiriti liberi, Aurora. Pensieri sui giudizi morali, Così parlò Zarathustra, Aldilà del bene e del male, La gaia scienza, Genealogia della morale, Volontà e potenza.  
NIETZSCHE: RIASSUNTO COMPLETO DELLE OPERE. Con La nascita della tragedia dello spirito della musica Nietzsche critica il carattere unilaterale e riduttivo della cultura tedesca del suo tempo, in cui predomina “l’uomo teoretico” e corrispondente al mondo della scienza e della divisione tecnica dei compiti; esso è caratterizzato dalla fiducia nella possibilità di correggere il mondo per mezzo del sapere, in una vita guidata dalla sola scienza. Con ciò l’arte stessa viene subordinata al concetto: l’impulso apollineo rappresenta il mondo del sogno e all’arte dello scultore, e l’impulso dionisiaco, corrisponde al mondo dell’ebrezza creativa e alla musica. Grazie alla “volontà ellenica, arte dionisiaca e apollinea si uniscono e producono l’opera d’arte completa, cioè la tragedia attica. In questo periodo Nietzsche è influenzato sia dalla metafisica di Schopenhauer con la distinzione tra mondo delle rappresentazioni e mondo della volontà, sia dal dramma musicale Wagneriano che cerca di fondere arte, mito, poesia, per essere un opera d’arte totale.
Nietzsche denuncia i danni provocati dalla mentalità storicistica, quali la riduzione delle verità a eventi fugaci, la passività dell’uomo nei confronti della tradizione e  del passato , l’identificazione del divenire della storia con un progresso univoco. A tutto ciò Nietzsche oppone, la capacità di dimenticare e di sentire “in modo non storico” a favore della felicità e della vita. Per creare una storia nuova e non ripetitiva del passato, bisogna adottare un atteggiamento antistorico e sovrastorico.

  • Con Umano troppo umano. Un libro per spiriti liberi, parla di una “chimica delle idee e dei sentimenti religiosi, ed estetici”. L’opera si presenta come un discorso sul metodo, e tale metodo consiste nel sapere rendere giustizia alla conoscenza disdegnando “tutto ciò che acceca e confonde il giudizio delle cose “, per conoscerle invece, in modo puro e con occhio attento.
  • In Aurora. Pensieri sui giudizi morali, del 1881, si dedica all’analisi dei presupposti della morale, principalmente rappresentati dalla pressione della paura e conformismo sociale.
  • Ne La gaia scienza, critica il sapere scientifico, rimproverandogli di voler spiegare tutto col nesso di causa effetto, che consente di descrivere il divenire, ma nello stesso tempo, non riesce a farlo comprendere all’uomo nei suoi aspetti qualitativi.
  • In Così parlò Zarathustra affronta il compito di pensare l’uomo e il mondo dopo che, a causa della secolarizzazione della cultura e società,  “ Dio è morto”.  Il divenire concepito come “eterno anello dell’essere, nella circolarità di piacere e dolore, consente di amare il mondo.
  • In Aldilà del bene e del male e nella Genealogia della morale la morale platonico-cristiana, con i suoi valori di umiltà e compassione, rassegnazione e uguaglianza,  viene stigmatizzata come morale degli schiavi, che dicono no alla vita, e del sentimento contro le virtù praticate positivamente dagli aristocratici (magnanimità, capacità di eccedere e di donare.
  • Nel 1901, alcuni appunti e frammenti postumi, sono stati raccolti dalla sorella, in modo arbitrario e condizionato dalle sue simpatie razziste e autoritarie, sotto il titolo di Volontà e potenza, un opera che ha contribuito al travisamenti del pensiero nietzscheano.





                                                                                                                                                           







domenica 22 dicembre 2019

Schopenhauer

https://drive.google.com/uc?export=view&id=1p0pI2tMFi440c0JUamaGOQyNiawQInE2

Egli nacque in Polonia nel 1788, figlio di un banchiere e di una nota scrittrice di romanzi. Le pressioni del padre affinché proseguisse la strada da lui segnata non ebbero successo e, iniziato all’amore per la letteratura dalla madre, proseguì gli studi di filosofia sino ad abilitarsi alla libera docenza. Il suicidio del padre e il turbolento e contraddittorio rapporto con la figura materna segnarono profondamente il suo pensiero, ben sintetizzato nella sua opera più famosa Il mondo come volontà e rappresentazione.La prima edizione del suo lavoro (1819) non riscosse alcun successo e solo vent’anni dopo vide la luce la ristampa deI mondo.Il motivo principale degli scarsi consensi accademici e di pubblico ricevuti risiedeva nell’avversione di Schopenhauer per la filosofia idealistica, molto in voga a quel tempo. In particolare, il filosofo era solito attaccare Hegel, appellandolo come un “sicario della verità”.Schopenhauer rivendicava la libertà e l’autonomia della filosofia e sfidava apertamente il successo di Hegel organizzando lezioni di filosofia nella stessa università, negli stessi giorni e agli stessi orari. Sino all'ondata di pessimismo che avvolse l'Europa dopo il 1848 Schopenahuer, però, non riuscì ad emulare o intaccare il successo del filosofo idealista.Mentre le aule universitarie erano sempre gremite in occasione delle lezioni di Hegel, solo pochi studenti frequentavano gli insegnamenti di Schopenhauer. A tal punto che quest’ultimo si difese osservando: “Io non ho scritto per gli imbecilli. Per questo il mio pubblico è ristretto”. Sul pensiero di Schopenhauer agirono fortemente le influenze: -  di  Platone e la sua teoria delle idee- del Romanticismo per quanto riguarda le tematiche dell’infinito, del dolore, dell’irrazionalismo e l’importanza assegnata all'arte)- della filosofia orientale (in particolare quella indiana buddista)- del criticismo di Kant.È, infatti, la distinzione kantiana tra fenomeno (la cosa come ci appare) e noumeno (la cosa in sé) a costituire il punto di partenza del pensiero di Schopenhauer.Quest’ultimo pensa infatti di aver capito qual è la via d’accesso per il noumeno, cioè la realtà che si “nasconde” dietro l’inganno, l’illusione e la parvenza del fenomeno. Solo il filosofo capace di interrogarsi sulla sua esistenza e sull’essenza della sua vita, secondo S., può riuscire a squarciare il “velo di Maya” (com’era chiamata, dalla sapienza indiana,la realtà illusoria che ci appare ai nostri occhi) e superare l’apparenza.
https://drive.google.com/uc?export=view&id=1NcgbEQQ0oOOXq3-6mlx3bLcIQN9OOKp3


lunedì 11 novembre 2019

Feuerbach

https://drive.google.com/uc?export=view&id=1v0bFB6IaSMc4dbTNhYREWztmONOF_Mf0
Egli ritiene che l'oggetto della filosofia debba essere:
1) l'uomo come essere naturale e concreto;
2) le condizioni di vita materiali delle persone.
Egli afferma che la religione genera alienazione infatti comporta la rinuncia della propria essenza a favore di un essere estraneo s trascendentale pertanto l'abbattimento della religione diventa presupposto dell'emancipazione.

domenica 10 novembre 2019

Karl Marx

https://drive.google.com/uc?export=view&id=1dU-Pio1BJYhOuT9CTTxHNCwzvoiWi3l8 
Egli afferma che esistono quattro tipi di alienazione dell'operaio:
1) rispetto al prodotto del suo lavoro;
2) rispetto alla sua attività;
3) rispetto alla propria essenza;
4) rispetto ai suoi simili;
per superare i quali bisogna abbattere la società borghese e le sue istituzioni e realizzare un nuovo tipo di società, quella comunista in cui è eliminata la proprietà privata ed è soppressa la divisione in classi.
Marx teorizza il materialismo storico secondo cui vi è una base materiale che rappresenta il motore della storia cioè la struttura da cui deriva la sovrastruttura ovvero l'insieme delle produzioni culturali.
La struttura è composta da modi di produzione:
- forze produttive --> espressione di una classe lavoratrice in ascesa;
- rapporti di produzione --> espressione della classe domaninante (capitalisti);
tra di essi si genera un divario e nasce un conflitto di classe.